mercoledì 3 giugno 2015

"Mannaja" il western gotico di Sergio Martino e il folk apocalittico di Guido e Maurizio De Angelis





L'inizio è quasi horror con quell'uomo che corre mentre il rallenty degli zoccoli lo minaccia. I suoni ovattati, l'espressione di angoscia, la nebbia da cui i rami emergono come arti di creature infernali.
 Il cavallo nitrisce. Il fuggitivo si ferma. Sa di non avere scampo. La pistola. L'afferra. Cerca di puntarla, ma il cavaliere ha lanciato la sua accetta che ruota, ripetutamente, fino a tranciare la mano del fuggitivo che urla disperato.
 Il cavaliere è Mannaja (Maurizio Merli), il cacciatore di taglie famoso per la maestria nell'uso dell'accetta. Durante il suo viaggio, finalizzato alla riscossione della taglia che grava su mano mozza, decide di fermarsi a Suttonville, regno incontrastato del ricco Ed McGowan (Philippe Leroy), proprietario della miniera d'argento.
 Quello di McGowan non è un nome nuovo per Mannaja. All'indomani della sua prima nottata a Suttonville, una nottata inizialmente un po' movimentata, il cacciatore di taglie si reca all'entrata della miniera dove viene assalito da una serie di flash back.
 Sfruttando la presenza nella zona di una banda di predoni, che assaltano le diligenze che trasportano l'argento estratto dalla miniera, Mannaja cerca di entrare nelle grazie di McGowan e della sua bella figlia, Deborah. Impresa non facile sia per la naturale paranoia del diretto interessato sia per la presenza di Theo Woller (John Steiner), il cane da guardia del capitalismo. Tra i bravi che ruotano intorno a Woller vi è anche il grande caratterista Nello Pazzafini.
Martine Brochard, che interpreta la "ballerina" Angela, irradia malizia dai suoi occhi, riuscendo a disidratarti più di un massaggio prostatico. Lei, così come le restanti ragazze con il loro can-can, fornisce inizialmente un ottimo diversivo alla crudezza delle immagine. Ad un certo punto, più che mitigare, esse tenderanno a renderne ancor più forte l'impatto.




 Non è un caso che la recensione di Mannaja appaia su questo blog dopo quelle dedicate a Gallowwalkers  e, soprattutto, a Dead in Tombston. In quelle recensioni ho sottolineato l'azione di agoaspirato attuato dagli sceneggiatori verso opere precedenti, opere ottime la cui riesumazione non ha contribuito a sostenere una trama biodegradabile. Per quanto riguarda Dead in Tombston ho parlato anche dell'utilizzo a "cazzo di cane" di vari effetti, tra cui il rallenty, e delle riprese dal basso. Ho deciso quindi di parlare ora di Mannaja per mostrare la riuscita, in questo caso, di tutti quegli elementi loculizzanti negli altri due film.
 Mannaja è stato girato nel 1977 da Sergio Martino, responsabile anche del soggetto e della sceneggiatura. Martino ha potuto quindi prendere a piene mani dal Monte Sinai generato da tutti gli spaghetti western girati fino ad allora. Troveremo immagini sovrapponibili al Fulci, un po' di Corbucci e moltissimo di Antonio Margheriti, compresa la virata gotica e quella nebbia che incombe sulla cittadina come il tornado attraverso cui mosse i suoi passi il fratello di Abele...




 Questi spunti vanno ad incastonarsi su una trama basata su uno dei più abusati traini western, ovvero la vendetta. L'azione di palizzamento è attuata anche grazie all'utilizzo di un personaggio particolare come Mannaja, che sostituisce il mito del "pistolero più veloce del west" grazie ad un'arma bianca, ma senza levantinismi.
 Altro elemento che caratterizza l'opera è la fotografia tipica delle opere del Martino. Le riprese dal basso rendono ancora più aggressive e inquietanti le figure del protagonista e dell'antagonista, rappresentando un trampolino di lancio all'azione. In alcune scene è inserito l'effetto rallenty, anch'esso finalizzato ad aumentare la tensione e la visione eroica dello scontro.



 Martino, uno dei nostri maestri nella commistione di generi, riesce quindi a creare un gothic western in cui citazionismo e sperimentazione contribuiscono a incentivare la fluidità dell'opera e l'esponenzialità emotiva. Non vi sono momenti vuoti o siliconamenti espansi, come il verbalismo di molti film d'azione con scenografia western. Il film va in crescendo ed ogni tassello è una tappa verso il finale en tournant...

 La colonna sonora di Guido e Maurizio De Angelis esalta la sfumatura oscura dell'opera. Il cantato folk assume toni quasi apocalittici e gothic rock, per poi alternarsi con lirismi alla CSNY.






3 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Splendido, e andrebbe davvero riscoperto e riapprezzato.

Il Moro ha detto...

Ecco un'ottima segnalazione... Lo cercherò...
Il Moro

Ivano Satos ha detto...

Purtoppo leggo troppe critiche a carico di molti spaghetti western, probabilmente perché vengono visti con gli occhi saturi del tapirulan di azione e non-senso di molti film odierni.
Grazie mille Il Moro, Mannaja è una bellissima chicca ;)