lunedì 1 febbraio 2016

"The Hateful Eight" di Quentin Tarantino







    Il cielo del Wyoming quasi grava sul paesaggio  come una valanga di gelo.  Un paesaggio di bianco fagocitario su cui una diligenza si apre una pista faticosa, fino a incontrare un ostacolo di carne viva e morta. La componente viva è rappresentata da Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), mentre quella morta è una piramide formata da tre morti che il cacciatore di taglie deve condurre a Red Rock.
 Il Maggiore non è l'unico cacciatore di taglie che si trova in quell'inferno bianco. All'interno della diligenza, che sta per offrirgli un passaggio verso il mercato della carne tagliata, si trova John Ruth "Il Boia" (Kurt Russell) con la sua preda, ossia Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh).
 Daisy Domergue ha una lingua spinosa come la superficie di un cactus, ma vale 10.000 dollari. 10.000 dollari ammanettati al polso di un "Boia" paranoico. Il suo concedere il passaggio sulla diligenza al Maggiore, è una cerimonia del tè alla fobia di perdere quel denaro che già zavorra il suo corpo come un arto fantasma inverso.
 Il tragitto verso Red Rock è come la Passione, anche se non possiamo dire se sia una Passione  a carico solo di Daisy Domergue o dei due cacciatori di taglie, ma a ogni stazione il carico di carne di quella diligenza aumenta. La terza tappa vede l'ingresso di un altro personaggio, il ribelle rinnegato Chris Mannix (Walton Goggins), diretto a Red Rock per essere investito come nuovo sceriffo. Almeno a suo dire. Altro personaggio quindi, altra cerimonia del tè paranoico celebrata da "Il Boia". Altra accettazione su quella diligenza trasbordante carne. Carne viva e morta.
 "Il Boia" avrà un'altra sorpresa durante il tragitto. La stazione per diligenze, gestita da Minnie, è strapiena di persone. Per un paranoico, la sicurezza, all'interno di un luogo chiuso, è inversamente proporzionale alla quantità di ossigeno che si consuma nell'unità di tempo. L'assenza di ossigeno fa girare la testa.




Jennifer Jason Leigh è magnifica nella sua parte di assassina schizzata. Sembra quasi posseduta, inquietando con la sua follia che va in crescendo, insieme alla sua tendenza autodistruttiva che fa da spalla al sadismo da educatore de "Il Boia". E proprio sulla spalla del "Boia" sembra appollaiata come una cornacchia, pronta a gridare e infierire contro qualcuno, appena se ne presenta l'occasione, come se quella iena, cosi viene definito "il Boia" da uno dei personaggi, fosse il suo cane da guardia.






 In "The Hateful Eight", il gelido vento che si abbatte sui personaggi, non è quello della tormenta, ma quello di una guerra fratricida. Tarantino usa un elemento diffusissimo nel western, come lo è la disperazione del dopoguerra, o la guerra stessa, nel neorealismo. Basta pensare al cinema di Lizzani per capire ciò che sto dicendo. Tarantino comunque plasma questo fantasma in maniera originale. Soprattutto, indirizza l'energia eolica verso il Maggiore, visto come rappresentazione non solo della razza negroide, ma come corruzione dell'esercito Unionista e della nuova nazione nata dalle ceneri della Guerra Civile. Corruzione che ci riporta nuovamente a quel discorso riguardo all'Italia e che svilupperò nella rubrica "Spaghetti Estern".




La figura del Maggiore si distacca da quei personaggi di colore, che vengono tratteggiati solo come vittime o come vendicatori coscienziosi. Il maggiore diviene una sorta di eroe della blaxploitation. Un figlio di puttana venuto dall'inferno, o forse sarebbe meglio dire sopravvissuto all'inferno, diventato ancora più bastardo con il suo ritorno sulla terra. Un manipolatore. Una mente. Proprio per questo ancora più pericoloso e destabilizzante.
 Il duello verbale, tra lui e uno dei personaggi che respirano all'interno della stazione, risulta quasi hitchcockiano nella sua opera di scalpitura neurale. Un Caronte in grado di condurre alla pura follia.




 La stessa colonna sonora di Morricone ci riporta in mente sia Hitchcock sia Carpenter. Quest'ultima connessione è rafforzata dalla presenza di Kurt Russell in un nuovo contesto claustrofobico, che lo trasforma in un nervo teso, pronto a percepire qualsiasi indizio di colpevolezza. In questo nuovo inferno bianco, egli non avrà il passaggio dal conosciuto all'ignoto, poiché lo sconosciuto, nonostante tutta la sua paranoia, sarà sempre presente e in agguato.
 Questa centralità della donna in un ambiente estremo, la presenza di un unico uomo a costituire la legge e l'oppressione delle mura di una capanna o uno chalet, mi hanno fatto venire in mente un'inversione di "Condenados a vivir" (Cut-Throats Nine, 1972). Un'inversione, poiché qui la legge è opposta alla donna che funge da elemento centripeto delle attenzioni, generando una forza tale, che quasi trasforma quello chalet nella casa di Ash.




"The Hateful Eight" è un western di posizione, in cui le tigri ruotano all'interno di una gabbia, senza raggiungere la fase di stallo e di rassegnazione. Un western noir in cui il mistero si dispiega lentamente, scioccando a tal punto da rimpianger le nubi opprimenti dell'ignoranza.  La componente mistery, nel contesto western, è stata  spesso trascurata in favore di un processo attivo più legato, in maniera manifesta, al terzo principio della dinamica. "The Hateful Eight" è un western degno di questa etichetta.





3 commenti:

Gioacchino Di Maio ha detto...

Nonostante sia abbastanza lontano dalla classica rappresentazione western dei grandi spazi aperti e si svolga per gran parte nell'emporio, in un luogo circoscritto è un film che non annoia e si lascia guardare fino alla fine.

Ivano Satos ha detto...

Verissimo Gioacchino! Tarantino riesce a incastonare su un originale palcoscenico una storia in grado di bullonare alla sedia

Janice ha detto...

Lovely blog youu have here